Miti sul bilinguismo

Il bilinguismo è un fenomeno diffuso, eppure è circondato da falsi miti.

di François Grosjean
traduzione di Serena Romanzin

Traduzione dell’articolo originale “Myths about Bilingualism” apparso sul blog “Life as a Bilingual“. Chiunque sia interessato ad utilizzare la presente traduzione, interamente o in parte, dovrà chiederne autorizzazione all’autrice, nonché all’autore dell’articolo originale.

Ho avuto la possibilità di vivere e lavorare per lunghi periodi di tempo in almeno tre paesi, Stati Uniti, Svizzera e Francia, e, in qualità di  ricercatore sul bilinguismo, ciò mi ha permesso di imparare molto sul mio oggetto d’interesse.

Ho scoperto che le persone in questi paesi condividono molte idee sbagliate sul bilinguismo e sui bilingui, ma che hanno anche atteggiamenti molto specifici nei loro confronti a seconda del paese.

Tra le errate convinzioni che condividono, una è che il bilinguismo sia un fenomeno raro. In realtà, è stato stimato che più della metà della popolazione mondiale sia bilingue, cioè utilizza due o più lingue nella vita di tutti i giorni.

Un altro pregiudizio comune è che i bilingui conoscano ogni loro lingua allo stesso livello. In realtà, il livello di conoscenza di ogni lingua varia a seconda dell’uso che se ne fa e, anzi, in molti bilingui una lingua predomina sull’altra.

Esiste anche il mito per cui il vero bilingue non abbia accento nelle sue diverse lingue e che sia un eccellente traduttore a tutto tondo. Ciò è ben lontano dalla verità. Avere un accento o meno non rende una persona più o meno bilingue e i bilingui hanno spesso difficoltà a tradurre linguaggi specialistici.

Anche per quanto riguarda i bambini, sono ampiamente diffuse molte preoccupazioni e idee sbagliate. In primo luogo, che il bilinguismo ritarderà l’acquisizione del linguaggio nei bambini piccoli. Questo era un mito popolare nella prima parte del secolo scorso, ma non esistono ricerche che ne provino la verità.  Nei bambini bilingui, il tasso di acquisizione del linguaggio è uguale a quello delle loro controparti monolingui.

Esiste anche il timore che i bambini cresciuti bilingui possano mescolare sempre le loro lingue. Di fatto, si adattano alla situazione in cui si trovano. Quando interagiscono in situazioni monolingui (ad esempio con la nonna che non parla la loro altra lingua), risponderanno in modo monolingue; se sono con altri bilingui, potrebbero usare l’alternanza linguistica (code-switching).

Infine, vi è la preoccupazione che il bilinguismo influenzi negativamente lo sviluppo cognitivo dei bambini bilingui. Ricerche recenti sembrano mostrare il contrario; i bambini bilingui hanno prestazioni migliori dei bambini monolingui in determinati compiti cognitivi.

A parte queste diffusi fraintendimenti, certi atteggiamenti appartengono in maniera specifica ad alcuni paesi e aree del mondo. In Europa, ad esempio, il bilinguismo è visto favorevolmente, ma le persone hanno standard molto elevati verso chi debba essere considerato bilingue. Questi ultimi dovrebbero avere una perfetta conoscenza delle loro lingue, non avere alcun accento e addirittura, in alcuni paesi, sarebbero dovuti crescere con entrambe le lingue. A queste condizioni, pochissime persone si considerano bilingui.

I bilingui non devono soddisfare standard così alti negli Stati Uniti, un paese in cui il bilinguismo è molto vario, dove l’inglese è affiancato alla lingue dei nativi americani, alle vecchie lingue coloniali, alle recenti lingue dell’immigrazione e così via. È stato stimato che oltre 50 milioni di abitanti degli Stati Uniti vivono con due o più lingue nella loro vita quotidiana.

In questo blog riprenderò i molti aspetti affascinanti che caratterizzano i bilingui, sia adulti che bambini.

Riferimento: Grosjean, François (2010). Bilingual: Life and Reality. Cambridge, Mass: Harvard University Press.

Gli articoli di “Life as a Bilingual” per argomenti: http://www.francoisgrosjean.ch/blog_en.html

Il sito di François Grosjean: http://www.francoisgrosjean.ch

Il libro “Bilinguismo. Miti e realtà” di François Grosjean, acquistabile su IBS.

 

Perché ho scelto di crescere mio figlio bilingue.

Durante la gravidanza, tra i miliardi di siti sulla maternità (intesa come essere genitrice) che ho visitato, ne ho scovati diversi anche sul bilinguismo infantile. Ma fino a che mio figlio non ha avuto 4 mesi non ho veramente pensato di crescerlo bilingue. A distanza di 7 anni sono sempre più convinta ed orgogliosa della mia scelta. Mio figlio parla l’inglese fluentemente, con un accento che definirei “neutro”, cioè né British, né American English, anche se alcune locuzioni che usa sono smaccatamente americane. È in grado di comprendere cartoni animati, film e audiolibri in inglese. Quando c’è una parola che non ha mai incontrato prima, mi chiede e gliene spiego il significato, ma non gliela traduco in italiano. Il perché la traduzione non sia il mezzo ideale per l’apprendimento di una nuova lingua, soprattutto da bambini, è oggetto di diversi studi e sarà oggetto di un mio prossimo articolo.

Sette anni fa ho cominciato leggendo il libro 7 steps to raising a bilingual child e ho scelto il metodo OPOL (one person one language), parlandogli sempre in inglese e cantandogli le canzoncine (ninnananne e filastrocche) in inglese. Ho cominciato prestissimo a leggergli libri, con il duplice scopo di insegnargli a parlare l’inglese e ad amare la lettura. Gli parlavo e parlo tuttora in inglese anche davanti ai nonni paterni che non conoscono la lingua, ma sono orgogliosi del fatto che il loro nipotino lo parli. La lingua con la quale mi rivolgo a mio figlio è sempre l’inglese, dentro e fuori casa. La meraviglia degli sconosciuti quando sentono mio figlio passare con naturalezza dall’inglese all’italiano è ancora oggi fonte di grande orgoglio.  E pensare che quando ho cominciato quest’avventura pensavo che mi sarei accontentata del bilinguismo passivo (lo capisce, ma non lo parla).

Ho voluto crescere mio figlio bilingue perché amo la lingua inglese. Il mio amore è legato al periodo in cui frequentavo la scuola internazionale ICS in Giordania, perché lo ricordo come uno dei più felici della mia vita. In cinque anni di scuola, l’inglese l’ho imparato benissimo, avevo anche un fantastico accento British che adesso, però, si è imbastardito con l’americano. Mentre crescevo e lo studiavo in Italia, dapprima alle medie e poi alle superiori, questo amore cresceva con me. Il fatto di saper parlare così bene la lingua più utile al mondo mi ha sempre fatto sentire orgogliosa e speciale, soprattutto durante l’adolescenza, periodo in cui i ragazzi hanno bisogno di tutte le rassicurazioni e le conferme possibili. All’università mi sono laureata in lingue. Prima di approdare alla glottodidattica infantile, ho lavorato nel turismo e nell’industria, ambiti in cui l’inglese serve. La mia seconda lingua la tengo viva e aggiornata guardando serie televisive in lingua originale e collaborando come traduttrice con un sito di fansubbing (ottima cosa per tenersi up to speed e non parlare una lingua obsoleta).

Oltre al volergli trasmettere la mia passione per questa lingua, voglio che mio figlio cresca bilingue perché la conoscenza dell’inglese lo aiuterà nella vita sociale (potrà viaggiare senza problemi in tutto il mondo) e lavorativa, qualunque lavoro voglia intraprendere.

 

Articolo scritto con licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0 IT

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